Quanto stiamo male di testa? L’epidemiologia dei disturbi mentali

Quanto stiamo male di testa? L’epidemiologia dei disturbi mentali

Quanto stiamo male di testa? Partiamo da questa domanda per cominciare ad orientarci in quel complesso mondo chiamato ‘Salute Mentale’, ovvero partiamo dall’epidemiologia dei disturbi mentali. Per farlo, ci baseremo sui dati forniti dal ‘World mental health report: transforming mental health for all‘ dell’OMS e dal rapporto annuale della SIEP (Società Italiana di Epidemiologia Psichiatrica). Daremo i numeri sulle condizioni di malessere più diffuse in Italia e nel mondo (Depressione, Ansia, Psicosi, Disturbi Alimentari, ecc.) tra le 370 categorie e sottocategorie diagnostiche individuate dagli specialisti del settore.

Tuttavia, non daremo per scontato niente: queste diagnosi, infatti, non indicano ‘malattie’ nel senso più comune del termine, ma particolari condizioni di sofferenza causate da diversi fattori in interazione tra loro. Sofferenze indicibili osservate da dottori e medici ‘psy’, che studiano l’anima e litigano ferocemente sulla natura di questi fenomeni, all’interno di una vera e propria disciplina: la ‘psicopatologia’. Dopo più di settant’anni di acceso dibattito, stretti tra una concezione medica e un modello sociale di disabilità e malattia tra loro antitetici, gli ‘esperti per esperienza’ negli ultimi decenni hanno cominciato a dire il loro punto di vista. E dall’incontro di queste prospettive, si intravedono nuove strade possibili.

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Premessa

I disturbi mentali sono molto comuni in tutti i paesi del mondo. La maggior parte delle società e dei sistemi sanitari e sociali trascurano la salute mentale e non forniscono le cure e il supporto di cui le persone hanno bisogno e che meritano. Il risultato è che milioni di persone in tutto il mondo soffrono in silenzio, subiscono violazioni dei diritti umani o sono negativamente influenzate nella loro vita quotidiana.

Dévora Kestel
Director Department of Mental Health and Substance Use – World Health Organization

Prima di addentrarci nei dati attualmente messi a disposizione a livello nazionale e internazionale, partiamo dalle basi: cosa si intende per epidemiologia? Cosa si intende con disturbo mentale?

Che cosa studia l’epidemiologia?

L’epidemiologia è la scienza che studia l’incidenza, la distribuzione e i determinanti dei problemi di salute nella popolazione. Gli epidemiologi utilizzano queste informazioni per formulare raccomandazioni e progettare politiche per prevenire e controllare le malattie e altre condizioni di salute. L’epidemiologia si occupa di studiare come le malattie si diffondono e come possono essere prevenute, identificando fattori di rischio e protezione per la salute. L’epidemiologia è una disciplina importante per la salute pubblica, poiché aiuta a identificare le cause dei problemi di salute e a sviluppare strategie per prevenirli o gestirli in modo efficace a livello di ‘sistema sanitario’ e/o politiche pubbliche. Per saperne di più, consulta il sito dell’Istituto Superiore di Sanità, EpiCentro – L’epidemiologia per la sanità pubblica.

“Malattia Mentale”? Le precauzioni indispensabili nell’utilizzo di questo termine

Parlare di ‘malattia mentale‘, per come viene utilizzato il concetto di ‘malattia’ nella nostra società e nel nostro senso comune, può essere fuorviante. Utilizzare questa espressione in modo superficiale, produce (e ha prodotto in passato) stigma e sofferenza. Il disturbo mentale propriamente detto, infatti, non emerge come condizione per-determinata da un particolare gene, virus, batterio o lesione

In altre parole, non è contagioso, non è legato a caratteristiche genetiche immodificabili, non è un problema organico su cui la persona non può fare niente. Queste convinzioni, negli scorsi secoli, hanno prodotto sofferenze indicibili.

Questo non esclude in alcun modo che diverse patologie organiche possano indurre alterazioni e sintomi psicopatologici: tumori cerebrali, ictus, incidenti, problemi metabolici, assunzione di sostanze, patologie complesse possono produrre stati mentali e cambiamenti percettivi e comportamentali del tutto simili alle psicopatologie più diffuse.

Tuttavia, i disturbi mentali propriamente detti non sono legati a nessuna causa specifica di questo genere. 

Questo non vuol dire che la componente genetica, biologica e fisiologica non sia implicata in questa condizione, bensì che, nessun elemento, da solo, è sufficiente a spiegarne la comparsa.

Per spiegarci meglio: si può essere predisposti geneticamente, ma la maggior parte delle persone con tale predisposizione non svilupperà un disturbo mentale. Ogni singola ‘determinante’ non è predittiva di nessun specifico disturbo mentale.

Diversamente, è una condizione complessa, determinata da diversi fattori che interagiscono tra loro a livello biologico, psicologico, sociale. 

La ‘causa’ dei disturbi è, quindi, ‘multifattoriale’ e ‘bio-psico-sociale’: ovvero nasce dalla specifica interazione di fattori differenti e concomitanti.

Data la complessità della situazione, e la mancata individuazione di un meccanismo ‘patogenetico’ unico, nel corso del secolo scorso abbiamo assistito a diversi modi di intendere queste condizioni.

Modello medico vs modello sociale

“Secondo il modello medico la disabilità consiste nelle limitazioni fisiche o mentali di una persona, a cui mancherebbe qualcosa per essere “normale”. La normalità è il parametro di riferimento secondo il quale alle persone viene diagnosticata una malattia o una disabilità, e di conseguenza riconosciuto il diritto a una cura.

Il modello sociale invece offre una diversa narrazione: la disabilità non sta nella persona che ne sarebbe portatrice, ma è costruita dalla società di riferimento. È il frutto di atteggiamenti, pregiudizi e barriere erette dalla società e non dai deficit dell’individuo.”

Lenius – Si legge come si scrive

Da questa situazione, deriva che la classificazione di queste sindromi è prettamente descrittiva e statistica e deriva da un’osservazione sistematica di comportamenti, percezioni, discorsi ‘devianti’ dalla norma, che si presentano spesso insieme e producono sofferenza, richiedendo cura e attenzione da parte del servizio sanitario nazionale. 

Ciò è complicato dal fatto che ci riferiamo a fenomeni che si pongono su un continuum tra ‘normalità’ e ‘sofferenza’/’stranezza’, riferendosi a percezioni, caratteristiche e comportamenti che in misura ed intensità diversa possiamo trovare anche nella popolazione generale.

Il modello medico negli anni è stato duramente criticato perché ‘disumano’, ossia perché eccessivamente legato ad un impostazione riduzionistica. Motivo per cui, l’approccio promosso dall’OMS nell’ambito della Salute Mentale è bio-psico-sociale.

Come afferma sempre l’OMS, nella realtà, “la salute mentale esiste lungo un continuum complesso, con esperienze che vanno da uno stato ottimale di benessere a stati debilitanti di grande sofferenza e dolore emotivo. Pertanto, la salute mentale non è definita dalla semplice presenza o assenza di disturbi mentali (molte persone ci convivono con un’ottima qualità di vita), ma, essendo un fenomeno complesso e multifattoriale, si pone su un continuum tra normalità e sofferenza.”

E perché le definiamo patologie?

Per diversi motivi. Il principale per la sofferenza che questi fenomeni possono comportare.

Il secondo di natura storica e sociale (come gestire la diversità?). Il terzo, di ordine pratico.

1) I disturbi mentali, infatti, a livello esperienziale, hanno alcune caratteristiche fondamentali, e spesso drammatiche, che li accomunano alle malattie fisiche.

Tre sono le caratteristiche che è bene tenere a mente quando si parla di disturbi mentali:

  • sono esperienze involontarie, passive, subite (fuori dal controllo cosciente della persona),
  • caratterizzate da percezioni e comportamenti rigidi e automatici (comportano esperienze ‘stereotipate’, con caratteristiche simili per tutti),
  • che comportano una forte sofferenza, sia emotiva che fisica, e una radicale e progressiva perdita della libertà individuale di agire e autodeterminarsi.

Queste caratteristiche accomunano, a livello esperienzale, questi fenomeni all’esperienza di malattia ‘fisica’. Ossia ci troviamo di fronte a persone che hanno perso progressivamente la capacità di provvedere a sé e/o sono inchiodate da un problema: questo ‘fatto’ comporta che, per come è strutturata la nostra società industriale, la loro richiesta d’aiuto, giunge alla categoria medica e/o al personale sanitario. 2) E i medici, fanno i medici: leggono la realtà a partire dal paradigma bio-medico con cui sono stati formati. Paradigma che, tuttavia, alla luce proprio della ricerca scientifica, si è rivelato inadeguato a spiegare alcunché in quest’ambito (e che ha portato alla definizione e promozione di un approccio globale, e antiriduzionista, chiamato bio-psico-sociale).

La componente biologica, cerebrale, è importante per spiegare il fenomeno, ma non è assolutamente sufficiente per comprenderne l’origine effettiva, che risiede inevitabilmente nelle condizioni di vita concrete in cui vive la persona (per approfondire, clicca qui). 

3) Un motivo pratico: la certificazione ‘sanitaria’ di sofferenza, nella nostra attuale società, permette l’attivazione di servizi e forme di protezione sociale e tutela delle persone che non riescono a seguire ritmi e modalità di vita della maggioranza della popolazione.

Il continuum tra disagio e disturbo

Un criterio molto pratico e facile da individuare che incide e distingue una condizione di sofferenza ‘normale’, da una ‘patologica’ (a parità di caratteristiche qualitative del fenomeno) è legata fondamentalmente all’intensità dei sintomi (percezioni, idee, comportamenti che producono sofferenza) e alle difficoltà di affrontare le sfide esistenziali comuni. Ossia, quanto, e in che modo, questi sintomi mi assorbono e mi limitano nella vita? I disagi mentali vengono definiti disturbi quando bloccano e rendono impossibile la vita delle persone.

Cos’è un disturbo mentale? 

Il riferimento più utilizzato per fare diagnosi in ambito sanitario è il DSM 5, che conta ben 370 disturbi.

Riportiamo la definizione di disturbo mentale contenuta nel manuale:

“Un disturbo mentale è una sindrome caratterizzata da un’alterazione clinicamente significativa della sfera cognitiva, della regolazione delle emozioni o del comportamento di un individuo, che riflette una disfunzione nei processi psicologici, biologici o evolutivi che sottendono il funzionamento mentale.I disturbi mentali sono solitamente associati a un livello significativo di disagio o disabilità in ambito sociale, lavorativo o in altre aree importanti. Una reazione prevedibile o culturalmente approvata a un fattore stressante o a una perdita comuni, come la morte di una persona cara, non è un disturbo mentale.”

American Psychiatric Association (2013a). Diagnostic and Statistical Manual of Mental Disorders, Fifth Edition (DSM-5). Washington, D.C.: APA (trad. it.: DSM-5. Manuale diagnostico e statistico dei disturbi mentali. Quinta edizione. Milano: Raffaello Cortina, 2014).

Una sindrome è un“raggruppamento di segni e sintomi, basato sulla loro frequente concomitanza, che può suggerire una sottostante patogenesi, un decorso, una familiarità e un’indicazione di trattamento comuni”.

Le diagnosi possono suggerire. La ricerca non ha trovato le ‘cause’ biologiche di questi fenomeni. Per questo motivo, è più corretto parlare di ‘Sindrome’, piuttosto che di Malattia, dal momento che queste manifestazioni ‘patologiche‘ non hanno una causa precisa e determinabile in maniera unilaterale, definibile, lineare, bensì le variabili che concorrono a determinarne la comparsa sono diverse e molteplici.

Disturbi mentali e psicofarmaci

La principale ipotesi neuroscientifica che ha guidato i medici nella definizione di trattamenti farmacologici, un’alterazione dell’equilibrio neutrasmettitoriale, non ha ricevute conferme. E gli studi scientifici (randomizzati) sui trattamenti farmacologici, dimostrano la scarsa efficacia di questi strumenti, in particolare sul medio-lungo termine. D’altra parte, non abbiamo una fotografia di quello che dovrebbe essere il livello normale di ‘neuro-trasmettitori’.

L’utilizzo, e il sovra-utilizzo, degli psico-farmaci nasce prevalentemente per fattori ‘empirici’: perché possono dare una grande mano a compensare emozioni, percezioni e pensieri alterati in grandi momenti di crisi. Tuttavia, anche i farmaci più efficaci in tal senso (ad esempio, le benzodiazepine), a medio-lungo termine possono portare a grandi problemi e a reazioni paradossali legati all’astinenza/tolleranza dal farmaco stesso.

D’altra parte, le ricerche sull’efficacia dei trattamenti, ci forniscono due grandi, e nuove, certezze: l’importanza del rapporto umano, e in particolare nella relazione terapeutico tra persone e medico, nel miglioramento del paziente (definito effetto placebo). Questo vale anche per le psicoterapie, che si sono rivelate efficaci al di là dell’orientamento teorico del professionista (ossia, proprio su quelle tematiche che innestano il ‘grande litigio’).

Tutt’ora, è consolidato il ruolo degli psicofarmaci nei momenti di crisi, così come c’è un accordo ormai unanime sul fatto che siano ‘solo’ dei ‘sintomatici’ e che la ‘cura’ di queste condizioni richieda, invece, un supporto su più livelli, tarato, individualizzato sulla persona. In cui l’utilizzo del farmaco si inserisce all’interno del più ampio progetto terapeutico della persona e il suo utilizzo è concordato con la persona (prevedendo percorsi di scalaggio sicuri).

Quando viene dato uno psicofarmaco, quindi, la domanda giusta da fare e da farsi, sarebbe sempre quella di chiedersi: a cosa mi serve? Lo prendo per avere un supporto a fare cosa di importante nella mia vita? Passato questo momento, come cambiare la mia vita attraverso questo possibile supporto?

Piuttosto che, come accade spesso ora, considerare queste sostanze come la soluzione al nostro disturbo.

Perché? Semplicemente, perché non siamo ‘cose’ da aggiustare. Siamo soggetti, e questo fa la differenza.

Salute Mentale: tra emozioni e autodeterminazione

I fattori bio-psico-sociali ci potranno fornire un ritratto utile, ma astratto, ossia che non parla nello specifico di nessuno di noi in particolare. Più un ritratto è obiettivo, più inevitabilmente nasconde la ricchezza della nostra esperienza, che nel frattempo ‘accade’, ignorata da clinici e ricercatori.

I disturbi mentali sfuggono alla razionalizzazione naturalistica della scienza perché sono legati a due aspetti fondamentali e specifici della natura umana: le emozioni e la capacità di autodeterminazione dell’uomo (a volte contro ogni ‘evidenza naturale’).

Come avremo modo di vedere, piuttosto, i disturbi mentali possono essere considerati come particolari ‘loop’ che coinvolgono il nostro rapporto con il corpo e con il mondo. Sono alterazioni dell’esperienza di vivere che portano a percezioni e comportamenti fuori dalla ‘norma’. Alterazioni anche piuttosto comuni e diffuse nella popolazione generale.

Tuttavia, diventano disturbi quando paralizzano la vita della persona. Quando determinano una rottura ‘biografica’. E non si riesce più ad affrontare le sfide esistenziali comuni (formazione, lavoro, socialità, ecc.) come prima.

In altre parole, portano ad una chiusura, ad un senso di incomunicabilità con il mondo. Tutto questo avviene nella nostra esperienza di vivere, fatta di possibilità, scelte, vincoli, imposizioni effettive che ci emozioni in modi che possono non essere sotto il nostro controllo.

I determinanti della salute mentale

I disturbi mentali interessano in modo specifico la relazione che la persona ha con il mondo, e con il proprio corpo. Per tale motivo, riguarda un modo di ‘funzionare’, un modo particolare di entrare in rapporto con l’ambiente, e con se stessi, con determinate caratteristiche specifiche.

“I determinanti della salute mentale e dei disturbi mentali includono non solo caratteristiche individuali come la capacità di gestire i propri pensieri, le emozioni, i comportamenti e le relazioni con gli altri, ma anche fattori sociali, culturali, economici, politici e ambientali, tra cui le politiche adottate a livello nazionale, la protezione sociale, lo standard di vita, le condizioni lavorative e il supporto sociale offerto dalla comunità. L’esposizione alle avversità sin dalla tenera età rappresenta un fattore di rischio per disturbi mentali ormai riconosciuto e che si può prevenire.”

Ministero della Salute

Le diagnosi quindi non rappresentano delle ‘cose’ ben definite a livello organico. Diversamente indicano condizioni esistenziali complesse che comportano una grande sofferenza e vengono utilizzate per motivi pratici: ossia

  • per avere un linguaggio comune che possa favorire la ricerca di cure e trattamenti efficaci, 
  • per riconoscere condizioni che richiedono ascolto, protezione sociale e diritti.

Quali sono i disturbi mentali più diffusi nel mondo? Diamo i numeri

Secondo diverse stime raccolte dall’OMS,, il 13% della popolazione mondiale vive con disturbi mentali.

Prima della pandemia, nel 2019, si stima che circa 970 milioni di persone nel mondo vivessero con un disturbo mentale, di cui il 82% si trovava in Paesi a basso e medio reddito.

283 milioni di persone avevano problemi con l’alcol nel 2016, 36 milioni di persone problemi legati all’uso di droghe nel 2019, 55 milioni di persone erano affetti da Demenza (nel 2019) e 50 milioni di persone soffrivano di Epilessia (nel 2015).

In molti paesi, i sistemi (sanitari e socio-sanitari) di salute mentale sono responsabili dell’assistenza alle persone con queste condizioni.

Tabella che raffigura la prevalenza dei disturbi mentali nel mondo
GBD Results Tool. In: Global Health Data Exchange [website]. Seattle: Institute for Health Metrics and Evaluation; 2019.
Ansia e depressione le condizioni più diffuse

La prevalenza dei disturbi mentali varia in base al sesso e all’età. Sia negli uomini che nelle donne, i disturbi d’ansia e i disturbi depressivi sono i due disturbi mentali più comuni. I disturbi d’ansia diventano prevalenti in età più giovane rispetto ai disturbi depressivi, che sono rari prima dei dieci anni di età e diventano più comuni con l’avanzare deletà, con le stime più alte nella fascia di età compresa tra i 50 e i 69 anni. Tra gli adulti, i disturbi depressivi sono i più diffusi di tutti i disturbi mentali. Nel 2019, 301 milioni di persone in tutto il mondo soffrivano di disturbi d’ansia; e 280 milioni soffrivano di disturbi depressivi (compresi il disturbo depressivo maggiore e la distimia). Nel 2020, questi numeri sono aumentati significativamente a causa della pandemia COVID-19.

La schizofrenia, che colpisce 24 milioni di persone e circa 1 persona su 200 adulti (di età pari o superiore a 20 anni), è la preoccupazione principale dei servizi di salute mentale in tutti i paesi ed è il disturbo che assorbe maggiori risorse a livello sanitario. Nei suoi stati acuti, è la condizione di salute più invalidante di tutte. Il disturbo bipolare, altra preoccupazione chiave dei servizi di salute mentale in tutto il mondo, riguarda 40 milioni di persone e circa 1 persona su 150 adulti in tutto il mondo nel 2019. Entrambi i disturbi colpiscono principalmente le popolazioni in età lavorativa.

Tabella con i dati di prevalenza dei disturbi mentali nel mondo, suddivisi per genere ed età

Quante persone soffrono di disturbi mentali in Italia?

La prevalenza annuale, rilevata nel 2019, dei disturbi mentali nella popolazione generale italiana è dell’8% circa (Ministero della Salute). Come possiamo leggere nel “Rapporto salute mentale. Analisi dei dati del Sistema Informativo per la Salute Mentale (SISM). Anno 2020“, a cura di Ministero della salute, sono state 728.338 le persone con problemi di salute mentale assistite dai servizi specialistici in Italia, nel corso del 2020.

Le patologie più frequenti tra gli utenti psichiatrici assistiti nei servizi territoriali sono la depressione con un tasso del 31,2 per 10.000 abitanti, la schizofrenia e le altre psicosi funzionali (29,9 per 10.000 abitanti), le sindromi nevrotiche e somatoformi (18,0 per 10.000 abitanti), la mania e i disturbi affettivi bipolari (11,9 per 10.000 abitanti), i disturbi della personalità e del comportamento (10,3 per 10.000 abitanti).

Il confronto tra i sessi, mostra una maggiore frequenza nel sesso femminile di depressione, schizofrenia e altre psicosi funzionali, di sindromi nevrotiche e somatoformi e di mania e disturbi affettivi bipolari. Tra gli utenti più giovani dei servizi territoriali predominano le sindromi nevrotiche e somatoformi; la prevalenza degli utenti con psicosi schizofreniche è massima intorno ai 50 anni, mentre i disturbi affettivi aumentano progressivamente attraverso le classi di età fino ai 64 anni. Anche la depressione è una patologia che diventa più frequente al crescere dell’età raggiungendo un picco a 55-64 anni in entrambi i sessi. Per i soggetti più anziani (>75 anni) si osserva, come atteso, un valore elevato per le demenze, soprattutto per le donne.

L’importanza di un progetto terapeutico individualizzato

I disturbi mentali possono essere trattati, prevedendo diverse forme di supporto (psicoterapico, riabilitativo, farmacologico, educativo, ecc.) che, tuttavia, vanno combinati attraverso la definizione di un progetto terapeutico individualizzato, tarato ‘su misura’ della persona e della problematica, specifica, a livello mentale ed emotivo.

Un disturbo d’ansia prevede esperienze, emozioni e difficoltà specifiche e differenti, rispetto ad un disturbo alimentare o a un disturbo dell’umore. Disturbo che, per essere compreso a livello clinico, va sempre contestualizzato e visto, nel suo modo di ‘esprimersi’, nella vita effettiva della persona.

Purtroppo questo, spesso, non accade. Perché?

Per approfondire 

Una salute mentale, tante idee in conflitto tra loro

I professionisti della salute mentale spesso si ritrovano in disaccordo sul da farsi e sulle terapie appropriate. E’ un disaccordo totale: sia tra discipline (medicina, psicologia, pedagogia, sociologia), sia all’interno delle stesse discipline. La psicologia stessa è attraversata da approcci e scuole di pensiero in netta contrapposizione tra loro. E questo accade sia nella ‘clinica’ che nella ‘ricerca’: non si è raggiunto un consenso unanime su alcuni dei concetti base come ‘mente’, ‘coscienza’, ‘io’.

Approcci umanistici, sociologici, neuroscientifici spesso si scontrano, anche fortemente, proponendo visioni antitetiche sull’uomo e sulla sua salute mentale. 

Le conseguenze pratiche del litigio

Nella ricerca, questa contrapposizione, che a livello teorico non è per forza un problema, anzi, la scienza procede e progredisce grazie ai dubbi e ai dibattiti, genera una frammentazione nei programmi di ricerca che incide sui finanziamenti in questo ambito, sempre più scarsi.

A ciò, va aggiunto che, in assenso di una linea di ricerca comune a livello istituzionale, in ambito privato domina la ricerca sui farmaci, realizzata secondo paradigmi ormai superati, ma che rimangono dominanti in assenza di alternative concrete. Una ricerca alimentata più da logiche economiche e di profitto, che prettamente ‘scientifiche’ e/o in una logica di salute pubblica.

Al contempo, in ambito clinico, questo porta ad una situazione paradossale e disorientante: chiedi aiuto a dieci professionisti diversi e potresti ricevere dieci possibilità diverse di leggere il tuo malessere. (E spesso si utilizzano nomi differenti per chiamare una stessa ‘cosa’, uno stesso fenomeno. Tuttavia, più per questioni legate alla competizione in ambito di ricerca e/ in ambito di marketing sanitario).

E, inevitabilmente, tutta questa confusione si riflette nel ‘senso comune’ e impatta su chi soffre di questi disturbi, che vive un’incomprensione di fondo rispetto a quanto gli sta accadendo, oscillando tra sensi di colpa (iper-responsabilizzazione su una cosa su cui non si ha il controllo) e passività/impotenza appresa (dipende dal mio cervello che non funziona e su cui non ho alcun controllo).

La situazione è veramente complessa e come vedremo nei paragrafi successivi, questa confusione generale ha conseguenze devastanti e, anche nelle società più ricche e avanzate, dove le risorse potrebbero esserci, porta le persone a situazioni di abbandono, isolamento e ad un utilizzo assolutamente improprio di psicofarmaci.

Il problema dell’incomprensibilità della sofferenza mentale

Da un punto di vista scientifico, la salute mentale è uno degli argomenti sicuramente più complessi ed enigmatici da affrontare. Ci scopriamo essere, da un punto di vista scientifico, tra i fenomeni in assoluto più complessi nell’universo.

Queste ‘etichette’, che non ci dicono niente sulle reali cause di queste esperienze, racchiudono esperienze di una sofferenza spesso incomprensibile, che porta le persone all’isolamento sociale e alla progressiva perdita della propria autonomia.

Anche se la maggior parte delle persone è straordinariamente resiliente, quelle che sono esposte a circostanze sfavorevoli hanno un rischio maggiore di sperimentare disturbi mentali. In questo contesto, conflitti, epidemie, ingiustizia sociale, discriminazione e svantaggio sono tutti rischi macro che possono causare nuovi disturbi mentali per molti e peggiorare quelli preesistenti.

Risks to mental health: an overview of vulnerabilities and risk factors. Background paper by WHO Secretariat for the development of a comprehensive mental health action plan. Geneva: World Health Organization; 2012

I danni legati all’incomprensibilità dei disturbi mentali gravi

Come riportano nel rapporto dell’OMS, “in tutto il mondo, le persone che vivono con disturbi della salute mentale sono oggetto di pregiudizi radicati e discriminazioni“:

Dagli ospedali psichiatrici di tutto il mondo, arrivano segnalazioni di maltrattamenti, tra cui abusi fisici, mentali e sessuali e negligenza. Le persone con disturbi di salute mentale possono essere confinate arbitrariamente in ospedali per anni senza riesame della loro condizione medica. Possono essere sottoposti a sovradosaggio di farmaci, trattamenti dannosi o degradanti o sottoposti routine di interventi senza consenso informato. In molti paesi, le condizioni e l’infrastruttura precarie associate agli ospedali psichiatrici sono anche diffuse in case di riposo, centri di riabilitazione, orfanotrofi e strutture per il ricovero notturno per la guarigione tradizionale o spirituale dei disturbi mentali.

Molte persone negli istituti di salute mentale sono incatenate: rinchiuse in piccole celle simili a prigioni senza alcun contatto umano; o legate al letto, incapaci di muoversi per lunghi periodi di tempo. Gli istituti di grandi dimensioni in particolare sono noti per condizioni di vita degradanti segnate da sovraffollamento, ambienti insalubri, pasti insufficienti e fumo di tabacco diffuso.

Salute Mentale e diritti

“Di conseguenza, c’è una grande necessità di trasformare l’assistenza sanitaria mentale per renderla un’assistenza basata sulla comunità. I maltrattamenti non sono confinati all’assistenza istituzionale. Le persone con gravi disturbi della salute mentale possono trovarsi nascoste dai familiari, incatenate o rinchiuse in casa, soggette a violenze fisiche o sessuali in carcere o soggette a violenza nella comunità. L’assistenza ambulatoriale per la salute mentale viola spesso i diritti umani, come dimostrato da trattamenti di routine e puramente biomedicali, che non rispondono alle esigenze e ai diritti di inclusione, assistenza sociale e protezione delle persone.

[…] Coloro che subiscono abusi hanno raramente accesso a meccanismi giudiziari adeguati. In molti paesi, le persone con disturbi della salute mentale hanno poche opportunità di presentare denunce per maltrattamenti o ricoveri involontari”.


Le persone con gravi disturbi della salute mentale muoiono da 10 a 20 anni prima della popolazione generale.


Se i pazienti cominciano ad essere ascoltati

Negli ultimi decenni stanno emergendo con forza movimenti di persone con disagio mentale grave, che raccontano la propria esperienza di malattia e di guarigione. Tali testimonianze aprono nuove possibilità di cura, approccio e gestione dei sintomi di natura psicologica ed emotiva (e non solo), indicando i fattori che si sono rivelati più importanti nel percorso di ripresa dal disturbo mentale.

Così come, dopo decenni di ‘riduzionismo’ e ‘pessimismo’ radicale verso il decorso di queste sindromi, vissute come malattie degenerative e progressive, l’approccio sta fortemente cambiando: la dimensione psicologica e sociale del fenomeno è sempre più compresa e si stanno affermando e diffondendo, a livello locale, buone prassi per migliorare cure, trattamenti ed interventi di riabilitazione.

Per fortuna, determinati elementi, nella pratica professionale, si stanno affermando e sono comunemente considerati operativi, e terapeutici, al di là della teoria di riferimento del singolo professionista.

Negli ultimi decenni abbiamo visto nascere movimenti di persone con disagio mentale, autismo, consumatori di sostanze, e potremmo continuare. I ‘cosiddetti’ pazienti hanno cominciato a dire la loro. Segnaliamo a proposito, il movimento della Recovery, attivismo in Salute Mentale e i concetti e le prospettive promosse dal movimento per la ‘neurodiversità‘.


il concetto di neurodiversità

Nel 1998 la sociologa e attivista per i diritti delle persone autistiche Judy Singer conió il termine neurodiversità come sinonimo di biodiversità neurologica. Esattamente come la biodiversità indica la convivenza e la differenziazione delle diverse specie in un ecosistema, così la neurodiversità definisce la naturale variazione tra un cervello e l’altro nella specie umana.

Secondo questa idea siamo quindi tutte e tutti neurodiversi proprio perché, nonostante apparteniamo alla stessa specie, anche la scienza ci dice che non esiste un cervello uguale all’altro.

Specialisterne

L’importanza della prevenzione

Secondo i dati OMS, nel mondo, il 10-20% di bambini e adolescenti soffre di disturbi mentali e la metà di tutte le malattie mentali inizia all’età di 14 anni, mentre 3/4 dei disturbi mentali cominciano entro i 25 anni.

Partendo da questa consapevolezza diventa fondamentale che sin da piccoli i ragazzi siano facilitati e sostenuti nella costruzione di abilità di vita (life skills) che possano aiutarli a far fronte alle sfide quotidiane, comprese le complesse sfide emotive legate alle diverse fasi del ciclo di vita.

L’importanza del contesto

Se non affrontate adeguatamente queste condizioni possono influenzare pesantemente lo sviluppo dei giovani e la possibilità di vivere vite soddisfacenti e produttive da adulti. In tal senso, la scuola, la famiglia, la comunità locale e il sistema sanitario hanno un ruolo fondamentale. La scuola intesa come luogo non solo per apprendere contenuti ma anche come contesto dove poter sviluppare life skills che consentono alla persona di scegliere in modo consapevole, di affrontare problemi, di confrontarsi con le proprie emozioni e di saperle gestire, di ascoltare e di rapportarsi con gli altri, di orientarsi e produrre un cambiamento nel proprio ambiente di vita.

Epicentro, ISS

Per non concludere (anzi, abbiamo solo iniziato)

Di fronte a questa emergenza nella popolazione, e alla conseguente emergenza nella salute mentale di tutte/i, le risposte sono poche e molto spesso inadeguate.

 In Italia, ci ritroviamo con un settore pubblico, troppo povero di professionisti e con liste d’attesa infinite. “I Dipartimenti di Salute Mentale, nel 2019, prima della pandemia, erano in grado di rispondere correttamente a poco più del 55% del fabbisogno assistenziale stimato“. Mentre, il settore privato è spesso troppo caro, o inadeguato, a fornire un servizio di cura appropriato

In tutto questo, si può capire come il web sia divenuto sempre più importante. Troppo importante. Alimentando un mondo social, legato ad algoritmi, che tendono sempre più ad alimentare bolle cognitive, e forti chiusure in se stessi, in persone che vivono un momento di fragilità emotiva.

Psicologia x tutti sarà un lavoro di inchiesta. Aperta.

In cerca di nuove straderà che se preferisco chiamarle ‘ancore’. Piccole e grandi certezze raccolte dialogando tra esperienze, testimonianze e mettendo al servizio di queste esperienze le conoscenze raccolte dalle diverse discipline scientifiche che si occupano di temi legati alla salute mentale.

Per farlo, faremo una piccola rivoluzione concettuale. Un rivoluzione che può avere grandi conseguenze. Staremo vicini all’esperienza pratica di vivere. Vicini alle cose, per trovare un pò di familiarità e non perderci in concetti razionali, astratti, distanti dalla nostra emotiva quotidiana.

Lo faremo, per favorire una maggior comprensione di fenomeni, che producono isolamento, paura e solitudine alla persona che le esperisce (e in chi le sta vicino).

D’altra parte, da vicino nessuno è normale.

Da vicino, si può ritrovare l’umanità nascosta dietro comportamenti, parole e percezioni, apparentemente, insensate. A partire dall’esperienza, possiamo costruire ponti di comprensibilità e ri-trovare quella realtà comune dimenticata, in cui tutti siamo immersi.

E’ un ribaltamento radicale di prospettiva: non metteremo in dubbio ‘noi stessi’ a partire dalla razionalità scientifica, metteremo in dubbio le descrizioni scientifiche teoriche e astratte che non si adattano alla complessità della nostra quotidiana esperienza di vivere. D’altra parte, al di là della razionalità astratta, è nella pratica che abbiamo bisogno di certezze.

Riconsiderando questa realtà, legata alla vita quotidiana che tutti affrontiamo immersi in un medesimo ambiente e contesto sociale, vedremo in modo approfondito le sfide comuni, che spesso affrontiamo nel più assoluto silenzio, semplicemente perché date per scontate. E da questo punto di vista, saremo capaci di comprendere di più le nostre esperienze.

E’ un’inchiesta aperta ai contributi di chi leggerà e di chi è interessato (commenta qui sotto).

L’obiettivo? Trovare certezze per rendere più comprensibili le crisi emotive e le alterazioni nelle percezioni, azioni e comportamenti. In questo viaggio, ci potremo scoprire meno soli. Perché, al di là delle apparenze, affrontiamo tutti sfide molto simili.

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