Cos’è l’epistemologia? E cosa c’entra con la psicologia?

Cos’è l’epistemologia? E cosa c’entra con la psicologia?

L’epistemologia, o filosofia della scienza, è la disciplina che si propone di attuare un’attenta riflessione intorno ai principi e al metodo della conoscenza scientifica. Senza metodo, diventa impossibile sia la ricerca sia la scoperta, ma quali sono le linee guida da seguire? I limiti da rispettare? Qual è il confine tra scienza e non scienza? Tale questione diviene ancora più rilevante in psicologia, ambito di studi sterminato attraversato da discipline e ricercatori con visioni del mondo tra loro incommensurabili.

Indice

Un pò di storia

“Alle origini del pensiero filosofico e scientifico un problema, in particolare, attirava l’attenzione dei ricercatori antichi: quello della distinzione tra le varie articolazioni del sapere, in modo specifico della separazione tra il sapere volgare e comune(doxa), dotato di garanzie molto limitate, e il sapere scientifico(episteme) cui va invece riconosciuto un fondamento decisamente superiore”.

S.Tagliagambe, L’epistemologia contemporanea, Editori Riuniti, Roma 1991, p. 5.

Gli scienziati, al pari dei filosofi, dei teologi, degli artisti, cercano di dare senso alla realtà che li circonda, tentando di individuare quei principi generali, che possano sottostare al maggior numero di eventi osservati.

Tuttavia, a differenza delle persone comuni, l’uomo di scienza attua la propria analisi attraverso un insieme di procedure molto articolato e specifico: osservazioni, esperimenti e misure si susseguono secondo un ordine preciso e prestabilito.

Tale insieme di procedimenti viene definito “metodo sperimentale”, e costituisce quel complesso di strumenti che rendono una teoria “scientifica”. Tali procedure si poggiano sulla convinzione che, per arrivare ad una verità certa e condivisibile, ci sia sempre bisogno di un methodos, ovvero di una via sicura, che ci consenta di ragionare in modo obbiettivo riguardo i fondamenti della natura.


come lo sai?

L’epistemologia definisce il quadro paradigmatico di una disciplina, in quanto ci fornisce da una parte i metodi utilizzabili, dall’altra le unità di misura disponibili, per poter formulare una teoria.

L’epistemologia, da buon discorso (-logos) sulla conoscenza (-episteme), deve indagare sulla base del sistema concettuale, ovvero sul processo di conoscenza stesso.

Sicché la tradizionale domanda che questa disciplina pone allo scienziato è “come lo sai?”


L’esperienza, quindi, è integrata all’interno di un linguaggio e di un approccio teorico più ampio, che plasma in un tutt’uno interdipendente una determinata ipotesi sulla realtà.  E l’ipotesi scientifica, per essere considerata tale, deve rispettare una serie di vincoli epistemologici per risultare attendibile.

In base alla scuola di pensiero filosofica adottata, questi vincoli cambiano.  

La nascita del moderno metodo sperimentale

Il metodo sperimentale ‘moderno’ nasce nel diciassettesimo secolo e si fonda su un’impostazione filosofica empirista. L’esperienza sensibile ci fornisce i dati per la conoscenza, pertanto essa è l’unico criterio di verità per definire l’esattezza di un’ipotesi. Ciò che vuole essere scientifico, deve essere provato dai fatti. 

Questa conoscenza fattuale si fonda sul procedimento logico, definito induttivo, che consiste nel ricavare da osservazioni ed esperienze particolari, i principi generali impliciti in esse.   

I notevoli successi delle scienze empiriche, nel corso del XVII e del XVIII secolo, hanno spinto gli scienziati ad analizzare e rendere evidenti le caratteristiche del metodo utilizzato, in quanto, grazie ad esso, l’uomo riusciva a ‘controllare’ la natura. E a spiegare, in parte, i suoi complessi meccanismi. 

Subentra, dunque, nella comunità scientifica un’identificazione tra la ‘vera’ conoscenza e la conoscenza osservabile empiricamente. Tale naturalismo positivistico, che ricercava le cause reali degli eventi, grazie ai suoi successi, per molto tempo è stato il vero fulcro della ricerca. Ponendo il proprio “statuto epistemologico” come necessario per arrivare a concezioni teoriche coerenti. 

Newton le definiva le verae causae: cause esistenti veramente in natura, con una realtà propria (oggettiva). Non derivanti da ipotesi e creazioni della mente umana.

Nasce l’epistemologia empirista.

L’epistemologia empirista

La sola conoscenza vera, è la conoscenza osservabile empiricamente

Secondo questa prospettiva, è inutile occuparsi di ciò che non è osservabile e il ricercatore deve essere del tutto neutro nell’osservazione dei dati raccolti: deve definire i dati oggettivi dei propri assunti teorici. L’oggettività è possibile solo attraverso l’operazionalismo logico, ovvero attraverso l’isomorfismo tra i processi osservati e le funzioni logico-matematiche, utilizzate per spiegarli.

L’operazionalismo logico è concepibile all’interno di quella tesi epistemologica, che viene denominata riduzionismo

Il riduzionismo stabilisce un ordine gerarchico delle varie forme del sapere a partire dalla fisica, a cui la chimica, la biologia, e le altre discipline sono subordinate in scala discendente in ordine di importanza. In questa prospettiva ogni ipotesi teorica riconduce le varie manifestazioni fenomeniche (l’esperienza) ad un unico substrato, che funge da principio esplicativo (teoria). Tale principio esplicativo può essere riformulato nel linguaggio di ogni disciplina più generale. Ad esempio:  i fenomeni mentali (psicologia) possono essere ricondotti al loro strato neurofisiologico (biologia).     

Tuttavia è necessario distinguere tra un riduzionismo inteso come progetto ideologico e un riduzionismo concepito “come un ‘metodo’ o, meglio, un ‘programma’ di spiegazioni per riduzione che appaiano riuscite, almeno localmente.” 

La crisi del metodo scientifico classico

Tuttavia, tale paradigma epistemologico della scienza è stato posto fortemente in discussione nel corso dell’900, a causa dell’incredibile progresso teorico e tecnologico che la scienza ha avuto e alle sconvolgenti scoperte nella fisica.

Dalla teoria della relatività ristretta e generale di Einstein, alla teoria dei quanti di Plance, fino alla formulazione vera e propria di una nuova meccanica quantistica, in cui l’oggettività viene totalmente messa da parte. 

Il determinismo “classico” viene messo in crisi dal principio di indeterminazione di Heisenberg.

Proprio la fisica, la scienza che più si poggiava sulla metodologia empirista, nel corso di questo secolo viene sconvolta e posta in discussione proprio sul suo lato forte: l’oggettività.

Heinsenberg rammenta, nel suo lavoro di revisione epistemologica della fisica, di aver chiesto un giorno ad Einstein se a ispirare la relatività fosse stata davvero quella “filosofia” per cui è possibile formulare leggi naturali solo in termini di grandezze direttamente osservate, e di aver ricevuto la risposta: ”Può darsi che questa sia stata la mia filosofia ma, nondimeno, si tratta di un’assurdità. Non è mai possibile introdurre in una teoria solo grandezze osservabili. Quello che si può osservare dipende sempre dalla teoria”.

Heisenberg aggiunge ”non possiamo separare il processo di osservazione empirica dalla struttura matematica e i suoi concetti”.

Oltre il mito della neutralità dell’osservazione scientifica

Il metodo, che per secoli è stata una delle conquiste più sicure della nostra tradizione, viene messo pesantemente in discussione dalla presa di coscienza del fatto che non può più essere considerato un procedimento immutabile ed universale.

Ha bisogno di esser riesaminato da un punto di vista meno astratto e più attento alle implicazioni teoriche concrete, che esso può avere sulle scoperte scientifiche.

L’osservazione, infatti, non solo incide su ciò che si osserva, ma è impregnata anche di convinzioni legate agli aspetti culturali, sociali, storici che nulla hanno a che fare con l’oggetto di indagine, ma che, allo stesso modo, possono impattare sul modo di vedere la realtà.

Come scrive Hilary Putnam, ”qualunque scelta di uno schema concettuale presuppone valori.[…] Non si può scegliere uno schema che non fa altro che ‘copiare’ i fatti, perché nessuno schema concettuale è una mera ‘copia del mondo’. La nozione stessa di verità dipende per il suo contenuto dai nostri criteri di accetabilità razionale, e questi a loro volta presuppongono i nostri valori e poggiano su di essi”. 

Tali valori sono talmente radicati nella nostra cultura che “i materiali di cui uno scienziato realmente dispone, le sue leggi, i suoi risultati sperimentali, le sue tecniche matematiche, i suoi pregiudizi epistemologici, il suo atteggiamento nei confronti delle conseguenze assurde delle teorie che accetta, sono però per molti aspetti indeterminati, ambigui, e mai pienamente separati dal suo sfondo storico”.

Questi principi impliciti “quand’anche gli fossero noti, sarebbero estremamente difficili da verificare”, in quanto esprimono “opinioni soggettive, mitiche e da molto tempo dimenticate”, le quali, unite alla percezione, vanno a costituire la base di interpretazioni naturali che per la loro familiarità sono considerate naturali da tutti.

In passato, le interpretazioni naturali sono state definite presupposti a priori della scienza (Kant), o pregiudizi da dover riconoscere e rimuovere prima di iniziare un’osservazione attenta della realtà (Bacone).

Un vaso o due profili?

Nelle figura: un tipico esempio di illusione percettiva, proposto dalla Gestalt.

In questo esempio, diviene chiara l’importanza che assume il modo, ossia il metodo, di vedere la realtà nel determinare cosa percepiamo. Idee e metodi diversi portano a percezioni alternative, le quali evidenziano aspetti differenti della realtà. 

I problemi nascono quando vogliamo capire quale delle due percezioni sia quella vera, o quella ‘oggettiva’, ma una percezione più vera dell’altra non c’è, in quanto sono tra loro incommensurabili.   

Feyerabend sottolinea come “non c’è alcun modo di ‘cogliere’ la transizione tra una possibilità e l’altra”. Se decidiamo di percepire la figura in un modo, automaticamente la percezione complementare non lascia traccia. Una percezione nega l’altra, in quanto sono prodotte da ‘insiemi mentali’ diversi, insiemi mentali gestiti e modificati dalla nostra attenzione, ovvero dalla nostra intenzionalità, la quale seleziona le proprietà degli elementi osservati.     

Come scrive Feyerabend “ possiamo mettere a confronto i due atteggiamenti nella nostra memoria, ma non mentre osserviamo la stessa  immagine

Per secoli la conoscenza è stata identificata con la conoscenza dimostrata: dimostrata dal potere dell’intelletto o dall’evidenza dei sensi […tali strumenti] vennero messi in discussione dagli scettici più di duemila anni fa. Ma costoro furono intimiditi e disorientati dal trionfo della fisica newtoniana. Con i risultati di Einstein la situazione si è di nuovo capovolta, e oggi pochissimi[…] continuano a pensare che la conoscenza scientifica sia, o possa essere, conoscenza dimostrata. Ma non sono in molti a rendersi conto che in questo modo l’intera struttura classica dei valori intellettuali crolla e deve essere rimpiazzata.

I.Lakatos, Critica e crescita della conoscenza scientifica, Feltrinelli, Milano 1976, p. 1.

Psicologia ed Epistemologia

In questo contesto culturale, si inseriscono le opere di Popper, Kuhn, Lakatos e Feyerabend, che hanno contribuito in modo diverso allo sviluppo dell’epistemologia contemporanea, osservando la scienza, e in particolare, le grandi scoperte del passato, attraverso una rigorosa indagine storica.

Le difficoltà implicite nell’impianto dell’epistemologia tradizionale, ben analizzate da questi autori, diventano evidenti in campo psicologico, nel momento in cui bisogna individuare l’oggetto di studio scientifico.

Da una parte, il metodo sperimentale fissa, registra e misura le caratteristiche mutevoli e sfuggenti della psiche umana attraverso un approccio riduzionistico, ovvero riducendo la complessità dei fenomeni osservati e utilizzando teorie pre-esistenti, che hanno il compito di inquadrare e spiegare tali fenomeni. Dall’altra, tale paradigma viene criticato alle fondamenta dalle correnti costruttivistiche, o ‘post-moderne’, che utilizzano una metodologia prevalentemente umanistica per inquadrare la complessità dell’esperienza umana, che presenta caratteristiche irriducibili e che poco hanno a che fare con l’attività di singoli neuroni.

Nasce in questo modo una visione della realtà che scinde l’essere umano in due parti: da una parte la mente, dall’altra il cervello. E tale visione frammentata si riflette in ambito clinico: chi sta abbastanza bene si cura con la parola, con la cultura, chi, invece, non ce la fa, subisce lo sguardo scientifico che vede cause e meccanismi biologici dietro la volontà cosciente della persona.

Alla ricerca di una terza via

Le questioni sollevate da questo scontro, come scrive Maria Armezzani, “non potranno mai avere una risposta ‘esatta’, dedotta, cioè, da criteri prestabiliti, perché esse riguardano proprio questi criteri”, ed è per questo che von Foerster le definisce ‘questioni indecidibili’. 

Come scrive Jerome Bruner, “questi due modi di pensare, pur essendo complementari, sono irriducibili l’uno all’altro” e la proposta metodologica di Feyerabend di procedere ad un’analisi antropologica dell’epistemologia contemporanea, considerando la sua genesi e il contesto culturale e storico in cui è inserita, non sembra fuori luogo.

Tale ricerca potrebbe mettere a confronto queste diverse forme di pensiero, non per trovare un vincitore, ma per chiarirne le possibilità e i limiti, in quanto “qualsiasi tentativo di ricondurli l’uno all’altro o di ignorare l’uno a vantaggio dell’altro – come scrive Brunerproduce inevitabilmente l’effetto di farci perdere di vista la ricchezza e la varietà del pensiero”.

Guardarci da fuori: il possibile ruolo di una prospettiva antropologica

Il punto di vista antropologico potrebbe far emergere nozioni culturali implicite, invisibili alla tradizionale razionalità scientifica, e fornire concezioni alternative con cui analizzare le fondamenta della nostra cultura, attraverso il confronto con sistemi culturali diversi.

D’altra parte, come aveva già sottolineato Binswanger tanti anni fa: “Se c’è una cosa che va fatta in modo antropologico, questa cosa è proprio la fondazione della psicologia”. 

E in questo rinnovato incontro, l’epistemologia diviene una disciplina fondamentale per mettere un pò di ordine nella complessità. E per scoprirci meravigliosamente complessi e inaccessibili anche di fronte lo sguardo degli scienziati più rigorosi.

Solo dallo scontro tra prospettive diverse, possono nascere idee, metodi e strumenti per riuscire ad afferrare meglio la complessità di ‘ciò che siamo’.

Bibliografia

M. Armezzani, Esperienze e significato nelle scienze psicologiche, Editori Laterza, Bari 2002.

G. Boniolo, M. Dalla Chiara, G. Giorello, C, Sinigaglia, S. Tagliagambe, Filosofia della scienza,  Raffaello Cortina Editore, Milano 2002.

K. Feyerabend, Contro il metodo, Feltrinelli Editore, Milano 1984.

I.Lakatos, Critica e crescita della conoscenza scientifica, Feltrinelli, Milano 1976.

H.Putnam, Ragione, verità e storia, il Saggiatore, Milano 1989.

S.Tagliagambe, L’epistemologia contemporanea, Editori Riuniti, Roma 1991, p. 5.

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